La tradizione dei vasai

Piatto ceramico di Nadia Tenerini

Quella della Ceramica a Bussi è una tradizione andata perduta silenziosamente tra la seconda metà del 1800 e gli inizi del 1900 a causa dei flussi migratori e dell'insediamento della fabbrica di Elettrochimica a Bussi Officine che soppiantò repentinamente tutti i mestieri artigiani del paese, con la contropartita di un lavoro sicuro e meno faticoso. Attualmente questa tradizione è stata recuperata da Nadia Tenerini, artigiana titolare di una bottega d'arte, in via Matteotti 9 a Bussi Officine, dove produce e vende capolavori ceramici con esclusive decorazioni dipinte a mano.

Intorno al 1700 ci fu un significativo afflusso di persone che da Castelli si stanziarono a Bussi, dove sussistevano le condizioni per continuare la tradizione della ceramica. I castellani migrarono a causa dei spoprusi del Marchese Ferdinando Alarçion y Mendoza che a quei tempi governava il paese essendo vassallo del Re del Regno di Napoli e che impose un balzello ai danni dei maiolicari. A Bussi i castellani ritrovarono l'acqua, l'argilla, i mulini idraulici e la legna per i forni, elementi indispensabili per la lavorazione della ceramica. La tradizione ceramica a Castelli ebbe inizio nel 1500. In quel periodo c'era una committenza "alta", costituita da diverse famiglie nobili che richiedevano oggetti di lusso. I Colonna, gli Aragona, i Farnese e gli Orsini commissionavano servizi da tavola e da esposizione. Nel 1700 la produzione della ceramica conobbe un periodo molto fiorente tanto che le ceramiche di Castelli riuscirono ad imporsi nel mercato europeo. Si affermò in particolare lo stile historiato (da Historia) che si ispirava ad una concezione pittorica degli oggetti come se fossero tele da dipingere. I più grandi maestri come Grue raggiunsero nelle ceramiche risultati eccellenti, ispirandosi a pittori come Raffaello e Botticelli.

Ceramiche di Nadia Tenerini

Sicuramente a Bussi in questo periodo si aveva una produzione abbastanza simile a quella di Castelli almeno nel tipo di lavorazione, nei colori e nelle forme. La presenza del Grue consente di ottenere anche una produzione "alta" ma la mancanza in loco di una committenza nobile avvalora la tesi secondo cui la produzione artistica di Grue sia stata soltanto un episodio sporadico e che invece la produzione bussese era orientata più verso una committenza media. Nell'ottocento a Bussi l'attività dei vasai, a differenza del 700, proseguì con una produzione di tipo popolare, costituita da stoviglie e da altri oggetti di uso quotidiano. Le tecniche di produzione degli oggetti rimasero immutate ma le decorazioni cambiarono: l'istoriato venne abbandonato, e sulle stoviglie si iniziarono a dipingere soggetti floreali e paesaggi. I colori usati per le decorazioni erano l'azzurro, il verde, l'ocra ed il violetto. La produzione era destinata al popolo e non più ai nobili, come invece avveniva in passato. Gli oggetti destinati ad un uso quotidiano in realtà erano di poco valore e poiché venivano adoperati giornalmente, spesso si rompevano, obbligando la famiglia a riacquistarli. Questa caratteristica creò così un vasto mercato di cretaglie che superava il circondario di Bussi e si estendeva fino a Napoli.

I vasai raggiungevano direttamente i luoghi di mercato e caricavano le stoviglie su dei carri; i carrettieri appartenevano loro stessi alla famiglia dei vasai che, quindi, curava tutto il ciclo produttivo, dalla produzione alla vendita. Le famiglie dei vasai tramandavano la professione di padre in figlio e il ruolo più importante nella bottega lo svolgeva il vasaio più anziano e non più il grande maestro. Questo sistema, legato al modello di famiglia patriarcale, garantiva la sopravvivenza della bottega e la sua redditività, pertanto non venivano impiegate persone esterne, ma vi lavoravano tutti i componenti della famiglia. La figura professionale più rilevante nella bottega era il vasaio che lavorava soprattutto al tornio; quelle meno rilevanti erano il muratore, lo scalpellino, l'imbianchino e il decoratore che lavoravano in bottega durante il periodo invernale, quando non era possibile per loro lavorare all'aperto. Le donne invece, erano abili nella "panificazione dell'argilla" ovvero raccoglievano, manipolavano e preparavano l'argilla. Nelle botteghe più attrezzate compariva anche la professione del "figulinaio", che durante il periodo di cottura delle stoviglie, realizzava dei fischietti in terracotta, fischietti rari e preziosi oggi conservati al Museo delle Tradizioni Popolari di Roma.

Bottega di Nadia Tenerini

Le fasi più importanti della lavorazione erano la foggiatura, la cottura, la smaltatura per immersione, la preparazione di colori e smalti per la decorazione e la seconda cottura. Le botteghe avevano la volta a botte, nel soffitto c'era un'apertura da dove uscivano i gas di combustione del fornetto mentre nelle botteghe più attrezzate vi era un condotto di scarico. In ogni bottega infatti era presente un fornetto come quello del pane che serviva per produrre il piombo calcinato che veniva poi passato al mulino ad acqua per essere triturato con la silice ed utilizzato per la smaltatura. A Bussi vi erano diversi mulini ad acqua che servivano per preparare l'ingobbio, e cioè lo smalto: il mulino era indispensabile e serviva per macinare sabbia silicea e altre sostanze. La produzione principale bussese consisteva in "robba rustica" : i piatti, le pignate, il boccale per il vino, gli orinatoi, le vaschette, i bacili, le bacinelle, i tegami, la zuppiera, i contenitori per il mangiare delle galline. La lavorazione richiedeva molto tempo e pazienza, chi la eseguiva era il vasaio anziano, ma talvolta anche le donne che avevano una manualità più fine. Il massimo sviluppo di questa attività si ebbe tra il 1835 e il 1845, quando oltre alla bottega di Benigno Mariani, proprietario di una delle più grandi di Bussi, c'erano altre fornaci dello stesso livello; infatti nel 1829 se ne contavano 27 e le più attive appartenevano a Giovanni Lancia, Nicola Tauro e Gioacchino Melchiorre. Nel 1839 c'erano 18 fornaci, nel 1860 erano 23, nel 1862 erano 18, nel 1863 ne risultavano 20 e nel 1865 c'erano 16 fornaci. Queste si trovavano soprattutto in Via Stoviglieri, in Via Ponticelli e nei pressi della chiesa di San Lorenzo, zone esterne al paese ma vicine al fiume dove si poteva prelevare l'argilla.

Galleria fotografica: la bottega artigiana di Nadia Tenerini

  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
  • miniatura della bottega ceramica di Nadia Tenerini
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